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IL DECRETO SALVA POPOLARI ERA INCOSTITUZIONALE? LA PAROLA (FINALMENTE) ALLA CONSULTA

Il Tribunale di Firenze rimette alla Corte costituzionale la legge sulla liquidazione coatta amministrativa delle banche venete.


Con ordinanza n. 6627 del 20 luglio 2021 il Tribunale di Firenze ha sollevato la questione di legittimità del decreto-legge 25 luglio 2017 n. 99, convertito dalla Legge 121/2017, recante “Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.” nella sua interezza e, comunque, l’art. 2, comma 1, lett. c) e comma 2, dell’art. 3 comma 1, comma 2, comma 3 e comma 4, dell’art. 4 e comma 4 e comma 5, dell’art. 6 nella parte in cui non prevede la possibilità di ristoro anche per gli azionisti.



PREMESSA:

La vicenda trae origine dall’acquisto da parte dell’attore di azioni della popolare veneta in violazione, come da prassi della banca, degli obblighi informativi di cui al TUF. La conseguenza normale dell’accertamento delle violazioni commesse dalla banca è il risarcimento del danno al cliente, danno che si può quantificare, nella maggior parte dei casi, nel valore delle azioni al momento dell’acquisto (o al momento del loro maggior valore). Tale opzione, però, diviene non più percorribile a causa del decreto-legge del 25.6.2017, n. 99, che ha previsto la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza s.p.a. e Veneto Banca s.p.a. che effettivamente veniva disposta con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze il 26.6.2017.


La liquidazione coatta amministrativa comporta, ai sensi dell’art. 83 del Testo Unico Bancario, che “contro la banca in liquidazione non può essere promossa né proseguita alcuna azione”. La conseguenza per i processi in corso è l’interruzione e l’improcedibilità.

Scopo della norma, come nel fallimento, è garantire la par condicio creditorum e, pertanto, identificare tutti i creditori (con la redazione dello Stato Passivo), ordinarli secondo gli ordini di prelazione, e distribuire l’attivo della procedura.


A garanzia dell’attivo della procedura vi sono anche norme di carattere penale: in una situazione normale, se l’imprenditore, durante o prima del fallimento, volontariamente distrae i beni dell’attivo o riconosce passività inesistenti commette il reato di bancarotta fraudolenta.


Nella vicenda delle popolari, la distrazione ed il riconoscimento di passività è avvenuta per legge.

Infatti l’art. 3 del D.L. 99/2017 ha disposto che “i commissari liquidatori […] provvedono a cedere ad un soggetto, individuato ai sensi del comma 3, l'azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi.”


Nello specifico, nella notte tra il 25 ed il 26 giugno del 2017, si perfeziona il contratto di cessione di azienda tra i commissari delle banche venete in liquidazione coatta amministrativa e Banca Intesa per il corrispettivo di 1 euro. Inoltre, Intesa riceve dallo Stato italiano 4 miliardi e 785 milioni finalizzati a coprire gli assorbimenti patrimoniali derivanti dalla presa in carico dell’insieme aggregato dei rapporti delle attività e passività cedute dalle Popolari venete.

Nel contratto di cessione viene anche specificato che resta escluso dalla cessione il contenzioso con gli azionisti della Banche venete in liquidazione coatta amministrativa.


Anche l’art. 3 del D.L. 99/2017 prevede che restino esclusi dalla cessione “i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate” e “le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività.”


Non solo, se mai nell’attivo delle Popolari dovesse rimanere qualcosa, l’art. 4 del DL 99/2017 prevede che lo Stato acquisisca un credito (preferito rispetto ai chirografari) nei confronti delle liquidazioni per i quasi 5 miliardi dati ad Intesa.


RICAPITOLANDO: gli azionisti delle popolari venete non possono continuare o intraprendere cause contro le popolari né possono intraprendere cause contro Intesa SanPaolo.

Possono però insinuarsi al passivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa. Ma verranno ammessi? Assolutamente no! Infatti, un azionista non è creditore della società “fallita” di cui detiene le azioni. Pertanto, gli azionisti verranno esclusi dallo stato passivo e dovranno proporre un’opposizione allo stato passivo (che consiste in una causa vera e propria) dove dovranno dimostrare di essere creditori della banca per il risarcimento del danno dovuto alla violazione degli obblighi informativi nella sottoscrizione delle azioni. Una tutela tardiva (posto che a 4 anni dalla liquidazione non è stato ancora redatto lo stato passivo) e inutile (posto che l’attivo è stato svuotato dalla cessione a Intesa e, se non bastasse, dal debito delle liquidazioni nei confronti dello Stato).

La situazione, per molti, è ancora peggiore. Infatti, una della prassi più in voga tra le banche popolari, era la vendita di azioni a soggetti che acquistavano le stesse chiedendo un prestito alla stessa banca (c.d. operazioni baciate). Il rapporto di finanziamento di questi soggetti è stato ceduto a Intesa SanPaolo mentre, come già anticipato, “i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni” sono rimasti alle popolari. Il risultato di questa ingegneria legislativa è che Intesa ottiene un decreto ingiuntivo contro l’azionista della popolare per ottenere la restituzione del finanziamento e l’azionista non può eccepire ad Intesa SanPaolo il controcredito derivante dalle violazioni nella commercializzazione delle azioni. Un assoluto disastro!


Lo studio Legals era stato tra i primi ad accorgersi della cosa e a chiedere al Tribunale di Venezia, già il 26 giugno 2017, di rimettere alla Corte costituzionale il D.L. 99/2017. La questione è stata riproposta in moltissime occasioni, ma, senza alcuna risposta convincente, i giudici, fino ad ora, si erano sempre rifiutati di sottoporre la questione alla Consulta.




L’INCOSTITUZIONALITA’


I punti di frizione tra la normativa salva-banche e la nostra Costituzione sono svariati. Quelli sollevati dal giudice del Tribunale di Firenze sono i seguenti:


1) Nei confronti dell’art. 4, comma 1, lett. b) e d) e comma 3, nelle parti in cui stabiliscono un aiuto di Stato di 4,875 miliardi a carico delle banche in liquidazione.

a) Se l’aiuto di Stato a favore di Intesa è necessario a tutelare un interesse pubblico, come i posti di lavoro dei dipendenti delle Popolari Venete o i conti correnti superiori ai 100 mila euro, questo deve essere posto a carico della collettività e quindi della generalità dei cittadini. Il debito va quindi posto nel bilancio dello Stato e non nello stato passivo delle liquidazioni coatte. Mettere il debito a carico delle liquidazioni vuol dire farlo gravare sugli azionisti delle banche venete il cui risparmio è invece tutelato dall’art. 47 della Costituzione.

b) Il sostanziale azzeramento del capitale azionario e delle obbligazioni subordinate con il loro trasferimento ad Intesa si risolve in una sostanziale espropriazione, senza indennizzo, a favore di un soggetto privato, per il suo esclusivo interesse, consistente nell’adeguamento al fabbisogno di capitale determinato dall’acquisizione gratuita delle banche venete iin violazione dell’art. 42 Cost. e del art. 1 del Protocollo addizionale CEDU sulla protezione della proprietà e dell’art. 17 della Carta Fondamentale dell’UE.

c) L’aiuto di Stato è stato realizzato mediante l’annullamento del risparmio di migliaia di cittadini, famiglie, piccoli imprenditori veneti a vantaggio del più grande gruppo bancario italiano nell’ambito di una acquisizione estremamente vantaggiosa in violazione dell’art. 45 e 47 della Costituzione.

d) Di fatto si è imposta agli azionisti una prestazione patrimoniale a favore di un soggetto privato in violazione dell’art. 23 Cost.

e) La disparità di trattamento tra gli azionisti della banche venete e quelli di altre banche, come Monte dei Paschi di Siena che è stata ricapitalizzata si pone in violazione degli artt. 3, 41 e 45 della Cost.


2) Nei confronti del D.L. 99/2017 (e della Legge di conversione) nella sua interezza.

Il contenuto economico-normativo del decreto legge recepisce la proposta vincolante di acquisto fatta da Banca Intesa. Delle condizioni per l’acquisto fa parte integrante la concessione di un aiuto di Stato da 4,785 miliardi. La caducazione dell’aiuto di stato pertanto comporta la caducazione dell’intero impianto normativo di cui al DL 99/2017


3) Nei confronti dell’art. 3 lett. a), b) e c) del decreto.

a) l’art. 3 del D.L. 99/2017 prevede che restino esclusi dalla cessione “i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate” e “le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività.”

Questa disciplina è palesemente irragionevole per la sua contraddittorietà intrinseca. Infatti, il titolo del decreto-legge (come convertito) reca: “Disposizioni urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.”

Tale normativa che ha come obiettivo e titolo “assicurare la parità di trattamento dei creditori”, in contrasto con la esplicita volontà del legislatore costituente, viola pesantemente la parità di trattamento tra i creditori che hanno visto i loro rapporti ceduti a Intesa, e quindi possono ottenere una soddisfazione integrale, e quelli esclusi dalla cessione dall’art. 3 del Decreto, che vengono interamente sacrificati.

Tale immotivata distinzione tra creditori, in cui vengono azzerati de facto i crediti derivanti dal comportamento scorretto della banca, viola l’art. 3 e l’art. 47 Cost.

b) La mancata cessione ad Intesa dei debiti derivanti dalla commercializzazione delle azioni comporta che ogni azione giudiziaria degli azionisti possa essere intrapresa solo nei confronti della liquidazione coatta amministrativa. Ciò comporta, come anticipato, una situazione “abnorme” per le c.d. operazioni baciate. Per queste, infatti, il debito di cui al finanziamento contratto per l’acquisto delle azioni rimane in capo alla cessionaria (Banca Intesa), mentre il debito della banca verso l’azionista rimane in capo alla cedente, anche se i due rapporti sono tra loro indissolubilmente connessi. In questa situazione, se il cliente-azionista non ripagasse il finanziamento a Banca Intesa, questa potrebbe ottenere un decreto ingiuntivo nei confronti dell’azionista. Questi, a sua volta, potrebbe proporre opposizione e chiedere in via riconvenzionale di accertarsi il grave inadempimento da parte della banca nella vendita delle azioni e di condannarsi la stessa al risarcimento del danno con conseguente compensazione tra questo credito ed il controcredito vantato dalla banca per il finanziamento. Con il decreto legge questo meccanismo è stato spezzato perché i debiti derivanti dalla commercializzazione delle azioni restano in capo alla cedente. Da ciò deriva che ogni eventuale doglianza potrà essere sollevata solo nei confronti della cedente, che non ha disponibilità finanziaria per far fronte ai propri debiti, mentre la pretesa di Banca Intesa non potrà essere opposta. Questa situazione determina una evidente lesione sia del principio di uguaglianza (art. 3 Cost) perché agli azionisti delle popolari venete non è garantito l’esercizio di un’azione di cui godono tutti gli altri in situazione analoghe, sia del diritto di difesa (art. 24 Cost.)

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